A proposito di vacanze, insulti e buon senso
Inviato: dom gen 16, 2005 8:50 pm
Letterina da noi inviata a tutta la stampa
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Sono esterrefatto per le reazioni di politici, giornalisti e benpensanti vari, a riguardo del desiderio di alcuni turisti di voler partire per il sudest asiatico in questo periodo. La cosa che mi dà maggiormente fastidio, al di là del linguaggio gratuitamente triviale (turisti "imbecilli" e "cretini"), è la totale generalizzazione del giudizio, elemento immutabile e immancabile del provincialismo italico.
Non v'è infatti dubbio che chi volesse sollazzarsi proprio nelle zone disastrate (ma qualcuno è in grado di dimostrare che c'è gente mentalmente sana disposta a partire per le spiagge di Phuket o Khao Lak?!?) dovrebbe farlo a proprio rischio e pericolo, ma i danni e i conseguenti rischi sono nettamente localizzati, le distanze enormi, e molti si recano in luoghi lontani anche migliaia di chilometri dal teatro della tragedia. Con le debite proporzioni, sarebbe come se nel 1976 i turisti si fossero dovuti tenere lontano da Venezia, dopo il terremoto che ha seminato morte e distruzione in Friuli.
L'ultima moda è, piú in particolare, l'insulto al vacanziere delle Maldive. Sul sito ufficiale del ministero maldiviano del turismo si dichiara che l'aeroporto funziona al 100%, i collegamenti interni anche, non esistono problemi di approvvigionamento, sanitari o infrastrutturali e s'invita accoratamente a non rinunciare al viaggio per non danneggiare la sensibile economia di quel delicato Paese. Vero che il messaggio può essere di parte; vero che una percentuale (piccola) di villaggi risultano danneggiati e in fase di ripristino; vero che una settantina di pescatori sono morti, purtroppo, cosí come alcuni turisti; tuttavia l'eccezionalità dell'evento, i numeri delle presenze, l'esiguità e la fragilità del territorio dimostrano soltanto che le Maldive erano e restano un luogo sicuro. E poi chi ha detto che "le barriere coralline sono distrutte"? Vi sono forse testimonianze o studi che lo dimostrano? Perché bisogna diffondere notizie apocalittiche senza prova? E' forse il bieco desiderio di annegare l'economia di un Paese potenzialmente povero in un oceano d'ipocrisie? Chi parte, forse non apparterrà agli schemi morali confezionati da sedicenti cattolici, sa che rischia di pagare per un servizio incompleto, ma non va allo sbaraglio, a costo di chissà chi altri.
Poi ho sentito giudizi sprezzanti su chi, in Thailandia, India o Indonesia, "va in discoteca a festeggiare mentre là fuori il mondo vive una tragedia". In molti casi, ciò è frutto della voglia di dimenticare, del desiderio di ricominciare una vita normale. Israele aiuta a capire: là si ripristina il luogo di un attentato in un paio d'ore e ci si sforza di tornare subito alla normalità. Purtroppo un cristianesimo abbastanza distorto ha insegnato per anni agli Italiani a crogiolarsi morbosamente nel dolore, ma per fortuna altrove non sono come noi: altrove la vita vince e la speranza trionfa anche fuori dei sermoni della domenica.
Ridicoli infine i commenti di chi sostiene di non poter tornare in quei luoghi, a quei mari che "hanno inghiottito migliaia di bambini". Vorrei che questi individui si tenessero fobie e figure retoriche per sé, evitando di allarmare ulteriormente una già debole e malinformata opinione pubblica. Insomma, al di là del comprensibile sgomento attuale, sarebbe auspicabile che taluni personaggi d'ampia visibilità soppesassero le proprie parole e le filtrassero attraverso i gangli della razionalità, prima che il loro presunto moralismo produca danni economici e sociali paragonabili a quelli causati della natura stessa.
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Sono esterrefatto per le reazioni di politici, giornalisti e benpensanti vari, a riguardo del desiderio di alcuni turisti di voler partire per il sudest asiatico in questo periodo. La cosa che mi dà maggiormente fastidio, al di là del linguaggio gratuitamente triviale (turisti "imbecilli" e "cretini"), è la totale generalizzazione del giudizio, elemento immutabile e immancabile del provincialismo italico.
Non v'è infatti dubbio che chi volesse sollazzarsi proprio nelle zone disastrate (ma qualcuno è in grado di dimostrare che c'è gente mentalmente sana disposta a partire per le spiagge di Phuket o Khao Lak?!?) dovrebbe farlo a proprio rischio e pericolo, ma i danni e i conseguenti rischi sono nettamente localizzati, le distanze enormi, e molti si recano in luoghi lontani anche migliaia di chilometri dal teatro della tragedia. Con le debite proporzioni, sarebbe come se nel 1976 i turisti si fossero dovuti tenere lontano da Venezia, dopo il terremoto che ha seminato morte e distruzione in Friuli.
L'ultima moda è, piú in particolare, l'insulto al vacanziere delle Maldive. Sul sito ufficiale del ministero maldiviano del turismo si dichiara che l'aeroporto funziona al 100%, i collegamenti interni anche, non esistono problemi di approvvigionamento, sanitari o infrastrutturali e s'invita accoratamente a non rinunciare al viaggio per non danneggiare la sensibile economia di quel delicato Paese. Vero che il messaggio può essere di parte; vero che una percentuale (piccola) di villaggi risultano danneggiati e in fase di ripristino; vero che una settantina di pescatori sono morti, purtroppo, cosí come alcuni turisti; tuttavia l'eccezionalità dell'evento, i numeri delle presenze, l'esiguità e la fragilità del territorio dimostrano soltanto che le Maldive erano e restano un luogo sicuro. E poi chi ha detto che "le barriere coralline sono distrutte"? Vi sono forse testimonianze o studi che lo dimostrano? Perché bisogna diffondere notizie apocalittiche senza prova? E' forse il bieco desiderio di annegare l'economia di un Paese potenzialmente povero in un oceano d'ipocrisie? Chi parte, forse non apparterrà agli schemi morali confezionati da sedicenti cattolici, sa che rischia di pagare per un servizio incompleto, ma non va allo sbaraglio, a costo di chissà chi altri.
Poi ho sentito giudizi sprezzanti su chi, in Thailandia, India o Indonesia, "va in discoteca a festeggiare mentre là fuori il mondo vive una tragedia". In molti casi, ciò è frutto della voglia di dimenticare, del desiderio di ricominciare una vita normale. Israele aiuta a capire: là si ripristina il luogo di un attentato in un paio d'ore e ci si sforza di tornare subito alla normalità. Purtroppo un cristianesimo abbastanza distorto ha insegnato per anni agli Italiani a crogiolarsi morbosamente nel dolore, ma per fortuna altrove non sono come noi: altrove la vita vince e la speranza trionfa anche fuori dei sermoni della domenica.
Ridicoli infine i commenti di chi sostiene di non poter tornare in quei luoghi, a quei mari che "hanno inghiottito migliaia di bambini". Vorrei che questi individui si tenessero fobie e figure retoriche per sé, evitando di allarmare ulteriormente una già debole e malinformata opinione pubblica. Insomma, al di là del comprensibile sgomento attuale, sarebbe auspicabile che taluni personaggi d'ampia visibilità soppesassero le proprie parole e le filtrassero attraverso i gangli della razionalità, prima che il loro presunto moralismo produca danni economici e sociali paragonabili a quelli causati della natura stessa.